Le marlboro di Sarajevo by Miljenko Jergovic

Le marlboro di Sarajevo by Miljenko Jergovic

autore:Miljenko Jergovic
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Miljenko Jergović; Bottega Errante Edizioni; Ljljana Avirović; Sarajevo; Jugoslavia; Bosnia Erzegovina; guerra; assedio; Marlboro; racconti; Balcani; nazionalismo
editore: Bottega Errante Edizioni
pubblicato: 2019-11-05T22:07:34+00:00


Il giardiniere

La gente muore in modo patetico, cerca di farti sentire in colpa. Palach si cosparge di benzina e si dà fuoco, un altro, sull’ottantina, respirerebbe ancora ma gli forano l’esofago e ci infilano una cannula, i parenti piagnucolano nella sala d’aspetto, gli ospedali brulicano di gente, ognuno aggrappato alla propria anima, ognuno che smania per la propria anima come le donne davanti alla Panetteria grande, da ogni parte piovono granate e quelle dài ad azzuffarsi per il pane. E per finire, com’è ovvio, salta fuori qualche playboy col dolcevita e dichiara che il suicidio è unicamente una questione filosofica.

Tornavamo dall’acqua quando iniziarono gli spari. Ci infilammo dentro il primo grattacielo, il corridoio era già tutto affollato. Ivanka si appoggia contro il muro, mette giù le taniche, io le mie non le mollo, si accende una sigaretta, dal boato tutto trema, la gente si accascia, poi lentamente ognuno si rialza. Ivanka no. Tracce di sangue non ne vedo, dev’essere svenuta dalla paura. Le sollevo la testa, penzola in modo strano, ha il collo che pare di gomma. I capelli sono pieni della polvere caduta dal soffitto, cerco di pulirglieli con le dita. Accorrono i ragazzi dai mantelli bianchi, uno di loro, con la faccia da Kafka, prova a prenderle il battito cardiaco sul collo, continua così a lungo, con estrema dedizione, come se suonasse il pianoforte. Guardo le sue dita che danzano sul collo di Ivanka, mi prende una rabbia che non ti dico, muoio dalla voglia che la smetta, ma c’è troppa gente, meglio se sto zitto. Credo fosse gelosia. La mettono sulla lettiga e la portano via. Nessuno aveva fatto caso a me.

La gente si è dispersa. Sono solo, in mezzo a quattro taniche. Sollevo le mie, entrambe perdevano acqua, uno zampillo come dai putti di pietra a Dubrovnik. Le sue erano a posto. Prendo anche quelle ed esco. Era una splendida giornata di primavera, gli spari non li sentivi più. Faccio quei trenta passi fino al nostro grattacielo e mi viene voglia di una passeggiata. Mi giro e vado nella direzione opposta. In riva al fiume correvano due militari, sul prato accanto all’Accademia di Belle Arti dei ragazzi giocavano a calcio, a uno sfugge il pallone, lo prendo al volo, sennò finisce dritto nel Miljacka. “Ai due pescatori” incontro Tadija, mi chiede dov’ero quando cadevano le granate. Temevo mi chiedesse di Ivanka. Seduti sul muretto davanti al caffè, col coltellino fa in due una sigaretta e si tiene il mozzicone senza filtro. Wittgenstein, gli dico, temeva la follia. È per questo che faceva il filosofo. A dire il vero non ricordo bene cosa volesse fare esattamente, il giardiniere, mi pare, o qualcos’altro. Tadija si stringe nelle spalle e butta fuori il fumo. Sul labbro, vicinissimo alla brace, gli si stava formando un herpes.

È stato un funerale sommario e sbrigativo. Sono andato al mercato e in mezzo a vecchie scarpe e scatolette di manzo stracaro ho trovato semenze per carote, ravanelli e insalata verde. Ne ho preso qualche sacchetto e lungo strade laterali, dov’è difficile imbattersi in qualcuno, sono tornato a casa.



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